Cosa fare quando la dieta smette di funzionare
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Cosa fare quando la dieta smette di funzionare
Alimentazione - Che fare quando il dimagrimento si interrompe
La bilancia è «bloccata»?
Allora gioca d’astuzia
Quattro modi per ridare sprint al metabolismo
Dimagrire non è facile per chi è sovrappeso, o obeso. E lo diventa anche meno col tempo. Spesso, infatti, dopo un iniziale dimagrimento piuttosto rapido in buona parte dovuto alla perdita di acqua (specie se si ricorre a diete povere di carboidrati o con scarsissimo sale), la dieta si rivela poco efficace. Certo, la stanchezza nei confronti delle restrizioni e la minore attenzione, una volta raggiunti i primi risultati, possono portare ad abbandonare i buoni propositi, ma ci sono anche altre ragioni che spiegano questa fase. L'organismo, infatti, si ribella alla protratta restrizione calorica e impara a 'risparmiare'. Chiarisce Enzo Nisoli, docente di farmacologia all'Università degli Studi di Milano: «L'organismo si difende da quello che interpreta come un rischio per la sopravvivenza. Già da tempo si sa che la restrizione calorica si accompagna ad una riduzione del metabolismo basale, ma recentemente si è osservato che anche l'attività fisica si riduce. Questo può trovare una spiegazione nel fatto che la persona sovrappeso, o obesa, dipende per i suoi fabbisogni energetici soprattutto 'dall' energia' cellulare che deriva dai nutrienti della dieta. Il processo infiammatorio associato all'obesità, si accompagna infatti a una riduzione dei mitocondri (organelli che producono energia) nei quali vengono metabolizzati i grassi».
Conseguenza? «Le abbondanti riserve energetiche, sotto forma di grasso, presenti soprattutto nel tessuto adiposo, vengono scarsamente utilizzate per produrre l'energia cellulare. E non avendo più a disposizione energia sufficiente fornita dal cibo, è facile che la persona sovrappeso o obesa riduca l'attività fisica semplicemente perché si sente priva di forze» spiega Nisoli. Come ovviare a questo inconveniente? «E’ importante che la restrizione calorica sia graduale, e mai eccessiva per non 'spaventare' l'organismo inducendolo a risparmiare e che l'attività fisica venga aumentata gradatamente commisurandola alle reali possibilità del singolo». E che cosa si può fare per affrontare i momenti di 'resistenza' alla perdita di peso? Ci sono strategie diverse, vediamole con l'aiuto di alcuni esperti
Concedersi una pausa
«Prima di pensare alle strategie — suggerisce Alfredo Vanotti, responsabile del Servizio nutrizione clinica e dietetica Asl, Provincia di Como — è importante valutare il metabolismo basale: se si è ridotto di oltre il 20%, rispetto all'inizio della dieta, è oggettivamente difficile riuscire a dimagrire. In questo caso, e se non si è ancora raggiunto l'obiettivo, può essere utile fermarsi, consolidare il risultato per qualche mese, in modo da 'rilanciare' l’attività metabolica, continuando a monitorare lo stile di vita ed il peso che si deve mantenere entro una fluttuazione massima di più o meno 2% . Dopo questa fase, si potrà riprendere il programma dimagrante».
Puntare sul gusto
«Talvolta il motivo per cui il programma dimagrante non sembra più efficace, è perché è venuto a noia; può quindi essere utile — suggerisce Giuseppe Fatati, presidente dell’Associazione italiana dietetica e nutrizione clinica — sperimentare schemi alimentari diversi, cercando, più ancora che all'inizio, di formularli in base al gusto individuale. A chi ha una predilezione per il sapore dolce, si potrà per esempio pensare di concedere le classiche 'pastarelle' della domenica (meglio mignon!). Un altro modo per sbloccare la situazione, può essere quello di prestare più attenzione alle calorie richieste nelle piccole attività. Anziché inviare una mail a chi si trova nell'ufficio di fianco, meglio spostarsi portando personalmente il messaggio oppure camminare quando si parla al cellulare… piccoli accorgimenti che, sommati, possono diventare significativi ».
Severità a fasi alterne
«Una strategia — commenta Agostino Paccagnella, responsabile dell'Unita di malattie del metabolismo, diabetologia e nutrizione Clinica dell’Asl di Treviso — può essere quella di contenere la 'severità' nella fase iniziale e aumentarla in seguito. In altre parole, visto che la persona obesa introduce spesso più calorie di quelle spese, inizialmente può bastare puntare su un regime 'normale', riservando la vera dieta ipocalorica alla fase successiva, quella in cui spesso si verifica la fase di stallo. Qui, se opportuno, si potrà anche intervenire 'sbilanciando' la dieta (magari puntando un po' più sulle proteine che danno sazietà) e ricorrendo, se necessario, ai farmaci».
Diario alimentare
Commenta Maria Gabriella Gentile, direttore del Centro cura disturbi comportamento alimentare al Niguarda di Milano: «Anche se può capitare di avere difficoltà nel perdere peso, dopo un buon dimagrimento iniziale, non è la regola. Ci sono pazienti che, con idonee terapie, perdono gradualmente anche 30-40 kg, senza alcuna fase di ' resistenza'. Ma se questo si verifica, è necessario valutare attentamente il comportamento della persona e i motivi che la spingono a mangiare. Strumento assai utile è il diario alimentare che serve a controllare il modo in cui vengono interpretate le indicazioni dietetiche, a identificare eventuali cambiamenti e, soprattutto, aiuta a capire quali sono le situazioni che portano ad usare il cibo per motivi consolatori per imparare a prevenirle».
Carla Favaro
01 novembre 2009
La bilancia è «bloccata»?
Allora gioca d’astuzia
Quattro modi per ridare sprint al metabolismo
Dimagrire non è facile per chi è sovrappeso, o obeso. E lo diventa anche meno col tempo. Spesso, infatti, dopo un iniziale dimagrimento piuttosto rapido in buona parte dovuto alla perdita di acqua (specie se si ricorre a diete povere di carboidrati o con scarsissimo sale), la dieta si rivela poco efficace. Certo, la stanchezza nei confronti delle restrizioni e la minore attenzione, una volta raggiunti i primi risultati, possono portare ad abbandonare i buoni propositi, ma ci sono anche altre ragioni che spiegano questa fase. L'organismo, infatti, si ribella alla protratta restrizione calorica e impara a 'risparmiare'. Chiarisce Enzo Nisoli, docente di farmacologia all'Università degli Studi di Milano: «L'organismo si difende da quello che interpreta come un rischio per la sopravvivenza. Già da tempo si sa che la restrizione calorica si accompagna ad una riduzione del metabolismo basale, ma recentemente si è osservato che anche l'attività fisica si riduce. Questo può trovare una spiegazione nel fatto che la persona sovrappeso, o obesa, dipende per i suoi fabbisogni energetici soprattutto 'dall' energia' cellulare che deriva dai nutrienti della dieta. Il processo infiammatorio associato all'obesità, si accompagna infatti a una riduzione dei mitocondri (organelli che producono energia) nei quali vengono metabolizzati i grassi».
Conseguenza? «Le abbondanti riserve energetiche, sotto forma di grasso, presenti soprattutto nel tessuto adiposo, vengono scarsamente utilizzate per produrre l'energia cellulare. E non avendo più a disposizione energia sufficiente fornita dal cibo, è facile che la persona sovrappeso o obesa riduca l'attività fisica semplicemente perché si sente priva di forze» spiega Nisoli. Come ovviare a questo inconveniente? «E’ importante che la restrizione calorica sia graduale, e mai eccessiva per non 'spaventare' l'organismo inducendolo a risparmiare e che l'attività fisica venga aumentata gradatamente commisurandola alle reali possibilità del singolo». E che cosa si può fare per affrontare i momenti di 'resistenza' alla perdita di peso? Ci sono strategie diverse, vediamole con l'aiuto di alcuni esperti
Concedersi una pausa
«Prima di pensare alle strategie — suggerisce Alfredo Vanotti, responsabile del Servizio nutrizione clinica e dietetica Asl, Provincia di Como — è importante valutare il metabolismo basale: se si è ridotto di oltre il 20%, rispetto all'inizio della dieta, è oggettivamente difficile riuscire a dimagrire. In questo caso, e se non si è ancora raggiunto l'obiettivo, può essere utile fermarsi, consolidare il risultato per qualche mese, in modo da 'rilanciare' l’attività metabolica, continuando a monitorare lo stile di vita ed il peso che si deve mantenere entro una fluttuazione massima di più o meno 2% . Dopo questa fase, si potrà riprendere il programma dimagrante».
Puntare sul gusto
«Talvolta il motivo per cui il programma dimagrante non sembra più efficace, è perché è venuto a noia; può quindi essere utile — suggerisce Giuseppe Fatati, presidente dell’Associazione italiana dietetica e nutrizione clinica — sperimentare schemi alimentari diversi, cercando, più ancora che all'inizio, di formularli in base al gusto individuale. A chi ha una predilezione per il sapore dolce, si potrà per esempio pensare di concedere le classiche 'pastarelle' della domenica (meglio mignon!). Un altro modo per sbloccare la situazione, può essere quello di prestare più attenzione alle calorie richieste nelle piccole attività. Anziché inviare una mail a chi si trova nell'ufficio di fianco, meglio spostarsi portando personalmente il messaggio oppure camminare quando si parla al cellulare… piccoli accorgimenti che, sommati, possono diventare significativi ».
Severità a fasi alterne
«Una strategia — commenta Agostino Paccagnella, responsabile dell'Unita di malattie del metabolismo, diabetologia e nutrizione Clinica dell’Asl di Treviso — può essere quella di contenere la 'severità' nella fase iniziale e aumentarla in seguito. In altre parole, visto che la persona obesa introduce spesso più calorie di quelle spese, inizialmente può bastare puntare su un regime 'normale', riservando la vera dieta ipocalorica alla fase successiva, quella in cui spesso si verifica la fase di stallo. Qui, se opportuno, si potrà anche intervenire 'sbilanciando' la dieta (magari puntando un po' più sulle proteine che danno sazietà) e ricorrendo, se necessario, ai farmaci».
Diario alimentare
Commenta Maria Gabriella Gentile, direttore del Centro cura disturbi comportamento alimentare al Niguarda di Milano: «Anche se può capitare di avere difficoltà nel perdere peso, dopo un buon dimagrimento iniziale, non è la regola. Ci sono pazienti che, con idonee terapie, perdono gradualmente anche 30-40 kg, senza alcuna fase di ' resistenza'. Ma se questo si verifica, è necessario valutare attentamente il comportamento della persona e i motivi che la spingono a mangiare. Strumento assai utile è il diario alimentare che serve a controllare il modo in cui vengono interpretate le indicazioni dietetiche, a identificare eventuali cambiamenti e, soprattutto, aiuta a capire quali sono le situazioni che portano ad usare il cibo per motivi consolatori per imparare a prevenirle».
Carla Favaro
01 novembre 2009
Kirk- Ospite
Re: Cosa fare quando la dieta smette di funzionare
Io ho trovato giovamento nel seguire i consigli presenti nel sito, il ho fatti leggere la mio dietologo e mi ha detto che sono validi.
Il mio dietologo in particolare dice che già il semplice concetto di dieta è fuorviante: come una specie di allenamento forzato in vista di un traguardo.
Questo atteggiamento mentale fatto di rinunce e tener duro è deleterio perché una volta che l'obbiettivo è raggiunto si torna alla vita e agli sbagli "normali".
Bisogna cambiare lentamente le abitudini alimentari sostituendole con quelle più sane, senza un obbiettivo, senza una fine.
Il mio dietologo in particolare dice che già il semplice concetto di dieta è fuorviante: come una specie di allenamento forzato in vista di un traguardo.
Questo atteggiamento mentale fatto di rinunce e tener duro è deleterio perché una volta che l'obbiettivo è raggiunto si torna alla vita e agli sbagli "normali".
Bisogna cambiare lentamente le abitudini alimentari sostituendole con quelle più sane, senza un obbiettivo, senza una fine.
Pippo- Ospite
Le diete yo-yo creano dipendenza
Dopo le rinunce torniamo ad abbuffarci per scacciare sensazioni negative simili a quelle provate durante l'astinenza da alcol e droghe
A chi non succede durante le feste natalizie, in avvicinamento a grandi passi? Fra cene e pranzi di Vigilia, Natale e Santo Stefano si esagera; poi, contriti, nei due o tre giorni successivi ci si mette a stecchetto; ma riecco il cenone di fine anno e il pranzo di capodanno a tentarci con mille ghiottonerie; dopo, via di nuovo coi digiuni fino ai dolciumi della Befana. Bene, una quindicina di giorni di questo genere e siamo probabilmente candidati a diventare cibo-dipendenti, stando ai risultati di una ricerca pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences.
TOPOLINI – Certo, i protagonisti dello studio sono 155 topini di laboratorio; ma i dati ottenuti da due ricercatori italiani in forze alla Boston University School of Medicine, Pietro Cottone e Valentina Sabino, in collaborazione con Luca Steardo dell'Università La Sapienza di Roma, fanno di sicuro riflettere. Gli studiosi hanno diviso gli animali in due gruppi: senza nessuna restrizione quantitativa, quelli nel primo gruppo potevano mangiare cibo normale per roditori; i topini nel secondo invece mangiavano per cinque giorni crocchette standard, poi per due giorni bocconcini elaborati, ricchi di zuccheri e molto gustosi (al sapore di cioccolato, evidentemente anche i topi ne sono ghiotti), poi di nuovo cibo normale. L'effetto della dieta a intermittenza sul comportamento degli animali sembra ricalcare da vicino quello che anche noi proviamo sulla nostra pelle quando ci troviamo davanti verdure lesse e sogniamo un pandoro: davanti al cibo standard i topolini che avevano provato i bocconcini al cioccolato apparivano svogliati, non mangiavano granché, erano perfino un po' ansiosi; quando tornavano le prelibatezze, eccoli di nuovo pimpanti, di buonumore, e soprattutto pronti a stra-mangiare. Nulla di tutto questo succedeva invece ai topini «morigerati», che si alimentavano sempre con crocchette standard.
DIPENDENZA – I ricercatori hanno pensato quindi di indagare che accadeva nel cervello dei topolini durante la dieta a yo-yo. Scoprendo che durante i periodi di astinenza dal cibo gustoso nell'amigdala, un'area del cervello coinvolta nelle risposte a stress, ansia e paura, si «accendeva» il gene per il fattore di rilascio della corticotropina (CRF). Questo accade appunto quando si è ansiosi; se invece l'ansia scompare l'espressione di CRF cala, come succedeva ai topolini che avevano di nuovo accesso alle agognate crocchette di cioccolato. E se i ricercatori bloccavano il recettore per il CRF, tutti i comportamenti correlati all'astinenza da cibo goloso scomparivano, a dimostrazione che il fattore è un elemento chiave delle risposte all', oltre che all'ansia e allo stress. Il corollario non è di poco conto: l'incremento della produzione di un fattore coinvolto nello stress (che aumenta nell'uomo anche durante i periodi di astinenza da alcol e droghe) significa che le diete a intermittenza hanno la capacità di farci diventare dipendenti dal cibo di cui siamo ghiotti, perché torniamo a mangiarlo per sfuggire alle sensazioni spiacevoli così come un tossico torna alle sue sostanze stupefacenti per non avere più i sintomi dell'astinenza. Dice Cottone: «Lo stress provato quando si rinuncia ad alimenti gustosi, nei periodi di dieta stretta, dal punto di vista neurobiologico ha molto in comune con gli stati emotivi negativi di chi dipende da alcol e droghe. È questo il motivo dei frequenti fallimenti delle diete: l'attivazione del CRF durante l'astinenza da cibi graditi induce la comparsa di uno stato emotivo negativo e ansioso, che contribuisce a farci ricadere nel consumo di alimenti che la dieta dimagrante proibirebbe».
CONSIGLI – Non fa una grinza: per non sentirci a terra come quando rinunciamo alle ghiottonerie, finiamo sempre più spesso per interrompere i periodi di alimentazione virtuosa, abbuffandoci di ciò che più ci piace. La dieta va a ramengo, ma aumenta anche il pericolo di incappare in disordini alimentari, come sottolineano Cottone e i suoi collaboratori: «L'obesità e i disordini alimentari possono essere considerati come malattie croniche recidivanti in cui si alternano periodi di astinenza dai cibi proibiti a "ricadute” compulsive, spesso incontrollabili, che continuano nonostante le evidenti conseguenze negative». Gli alimenti graditi hanno un ben noto effetto “di rinforzo positivo”, ci inducono cioè a mangiarli in maggior quantità; i dati raccolti da Cottone dimostrano che spesso torniamo a rimpinzarci anche per toglierci di dosso le sensazioni negative e l'ansia che sperimentiamo durante l'astinenza. Come ridurre il rischio? Cercando di essere più equilibrati: meglio diminuire le dosi piuttosto che negarci del tutto l'amata cioccolata o le desiderate patatine. Gustarci una piccola quantità di ciò che gratifica, in altri termini, potrebbe essere un buon trucco per non finire, in preda alle ansie da astinenza, a sognare (e poi mangiare, appena allentiamo un po' il controllo) tavolette di cioccolata da mezzo chilo e pacchi famiglia di patatine.
A chi non succede durante le feste natalizie, in avvicinamento a grandi passi? Fra cene e pranzi di Vigilia, Natale e Santo Stefano si esagera; poi, contriti, nei due o tre giorni successivi ci si mette a stecchetto; ma riecco il cenone di fine anno e il pranzo di capodanno a tentarci con mille ghiottonerie; dopo, via di nuovo coi digiuni fino ai dolciumi della Befana. Bene, una quindicina di giorni di questo genere e siamo probabilmente candidati a diventare cibo-dipendenti, stando ai risultati di una ricerca pubblicata sui Proceedings of the National Academy of Sciences.
TOPOLINI – Certo, i protagonisti dello studio sono 155 topini di laboratorio; ma i dati ottenuti da due ricercatori italiani in forze alla Boston University School of Medicine, Pietro Cottone e Valentina Sabino, in collaborazione con Luca Steardo dell'Università La Sapienza di Roma, fanno di sicuro riflettere. Gli studiosi hanno diviso gli animali in due gruppi: senza nessuna restrizione quantitativa, quelli nel primo gruppo potevano mangiare cibo normale per roditori; i topini nel secondo invece mangiavano per cinque giorni crocchette standard, poi per due giorni bocconcini elaborati, ricchi di zuccheri e molto gustosi (al sapore di cioccolato, evidentemente anche i topi ne sono ghiotti), poi di nuovo cibo normale. L'effetto della dieta a intermittenza sul comportamento degli animali sembra ricalcare da vicino quello che anche noi proviamo sulla nostra pelle quando ci troviamo davanti verdure lesse e sogniamo un pandoro: davanti al cibo standard i topolini che avevano provato i bocconcini al cioccolato apparivano svogliati, non mangiavano granché, erano perfino un po' ansiosi; quando tornavano le prelibatezze, eccoli di nuovo pimpanti, di buonumore, e soprattutto pronti a stra-mangiare. Nulla di tutto questo succedeva invece ai topini «morigerati», che si alimentavano sempre con crocchette standard.
DIPENDENZA – I ricercatori hanno pensato quindi di indagare che accadeva nel cervello dei topolini durante la dieta a yo-yo. Scoprendo che durante i periodi di astinenza dal cibo gustoso nell'amigdala, un'area del cervello coinvolta nelle risposte a stress, ansia e paura, si «accendeva» il gene per il fattore di rilascio della corticotropina (CRF). Questo accade appunto quando si è ansiosi; se invece l'ansia scompare l'espressione di CRF cala, come succedeva ai topolini che avevano di nuovo accesso alle agognate crocchette di cioccolato. E se i ricercatori bloccavano il recettore per il CRF, tutti i comportamenti correlati all'astinenza da cibo goloso scomparivano, a dimostrazione che il fattore è un elemento chiave delle risposte all', oltre che all'ansia e allo stress. Il corollario non è di poco conto: l'incremento della produzione di un fattore coinvolto nello stress (che aumenta nell'uomo anche durante i periodi di astinenza da alcol e droghe) significa che le diete a intermittenza hanno la capacità di farci diventare dipendenti dal cibo di cui siamo ghiotti, perché torniamo a mangiarlo per sfuggire alle sensazioni spiacevoli così come un tossico torna alle sue sostanze stupefacenti per non avere più i sintomi dell'astinenza. Dice Cottone: «Lo stress provato quando si rinuncia ad alimenti gustosi, nei periodi di dieta stretta, dal punto di vista neurobiologico ha molto in comune con gli stati emotivi negativi di chi dipende da alcol e droghe. È questo il motivo dei frequenti fallimenti delle diete: l'attivazione del CRF durante l'astinenza da cibi graditi induce la comparsa di uno stato emotivo negativo e ansioso, che contribuisce a farci ricadere nel consumo di alimenti che la dieta dimagrante proibirebbe».
CONSIGLI – Non fa una grinza: per non sentirci a terra come quando rinunciamo alle ghiottonerie, finiamo sempre più spesso per interrompere i periodi di alimentazione virtuosa, abbuffandoci di ciò che più ci piace. La dieta va a ramengo, ma aumenta anche il pericolo di incappare in disordini alimentari, come sottolineano Cottone e i suoi collaboratori: «L'obesità e i disordini alimentari possono essere considerati come malattie croniche recidivanti in cui si alternano periodi di astinenza dai cibi proibiti a "ricadute” compulsive, spesso incontrollabili, che continuano nonostante le evidenti conseguenze negative». Gli alimenti graditi hanno un ben noto effetto “di rinforzo positivo”, ci inducono cioè a mangiarli in maggior quantità; i dati raccolti da Cottone dimostrano che spesso torniamo a rimpinzarci anche per toglierci di dosso le sensazioni negative e l'ansia che sperimentiamo durante l'astinenza. Come ridurre il rischio? Cercando di essere più equilibrati: meglio diminuire le dosi piuttosto che negarci del tutto l'amata cioccolata o le desiderate patatine. Gustarci una piccola quantità di ciò che gratifica, in altri termini, potrebbe essere un buon trucco per non finire, in preda alle ansie da astinenza, a sognare (e poi mangiare, appena allentiamo un po' il controllo) tavolette di cioccolata da mezzo chilo e pacchi famiglia di patatine.
Kirk- Ospite
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